venerdì 16 maggio 2008

IMPRESSIONI A CALDO DA SIRACUSA

Sono stato l'8 e il 9 maggio al teatro greco di Siracusa per la rappresentazione dell’Orestea di Eschilo. La trilogia l'ho trovata di grande interesse, anzitutto per una recitazione senza fronzoli e non roboante, appoggiata da una fonica curata e attenta (non si ‘perdeva’ una sola parola).
La scenografia in effetti appare un po’ ‘monumentale’ nel senso peggiorativo del termine, con una facciata obliqua, in cui si aprono delle finestre nel cui vano delle sottili corde perpendicolari formano una specie di tendina (dietro queste finestre, in alcuni momenti dell’azione drammatica, appaiono delle fiaccole a informare lo spettatore di alcuni frammenti drammatici che si svolgono all’interno); dietro la parete si trova una scala in cima alla quale c’è un grande disco dorato che, diviso in due parti sfalsate, offre ad alcuni personaggi la possibilità di comparire sulla scena dall’alto. Accanto alla parete del palazzo si eleva una torre intorno alla quale si attorciglia un’altra scala, ma elicoidale; da essa scende, all’inizio dell’Agamennone, la guardia per andare ad annunziare a Clitennestra la fine della guerra di Troia. Certo le due mega-strutture ben si addicono all’intera azione dell’Agamennone, ma risultano improprie per la prima parte delle Coefore e per l’intera azione delle Eumenidi, le cui due azioni principali si svolgono a Delfi e nell’Areopago di Atene. Oltretutto la polivalenza delle due mega-strutture rende necessari, all’inizio delle Coefore e all’inizio e a metà delle Eumenidi, la collocazione di oggetti, piccoli manufatti, microstrutture architettoniche stilizzate per ‘personalizzare’ la scena; e quindi si pone la necessità dell’ingresso in scena di personaggi muti, che hanno il solo compito di ‘cambiare la scena’.
La musica è eseguita da un gruppo di sette musicisti in scena (quattro sassofoni, un violoncello, un set di percussioni e una fisarmonica), che fanno parecchi interventi musicali, di particolare suggestione e con dei rimandi abbastanza incisivi al patrimonio folcloristico siciliano, a certe particolari cadenze del canto gregoriano, assai vicino anche sul piano temporale, alla musica della antichità classica; non mancano poi toni, cadenze, brevi moduli, sonorità timbriche, che non seguono un tema preciso, ma che contribuiscono a connotare l’animo del personaggio e la situazione drammatica; l’impressione dello spettatore è che i musicisti costituiscano una specie di secondo coro, con la stessa funzione e la stessa partecipazione emotiva che Eschilo assegna al coro vero e proprio.
Il rispetto per il testo, nel senso del 'logos' eschileo, è assoluto, anche se si è verificato un qualche "pasticcio", in quanto il regista, per ragioni non condivise, ha espunto dal testo di Pasolini certe nuances interpretative riferentisi a una severa critica della società e del potere, e, cosa gravissima, ha lasciato certi termini come 'chiesa' per 'tempio' e 'Dio' per 'Zeus', facendo perdere così - anche allo spettatore comune - certe importantissime coordinate di riferimento.
Gli attori nei ruoli principali sono stati bravi, qualcuno bravissimo; Galatea Ranzi poi è si è rivelata all’altezza del testo eschileo: la recitazione, chiara e squillante, con delle particolari modulazioni e intonazioni a seconda dei vari momenti drammaturgici, la cadenza adattata alla 'sacralità' del testo e la gestualità asciutta ma di grande intensità espressiva hanno dato dei due personaggi (Clitennestra e Elettra) una connotazione fortemente tragica e, nella fattispecie, eschilea.
Naturalmente in uno spettacolo di così grande complessità non mancano le pecche, e alcune anche assai vistose: certe anomalie nel testo (come si è detto); il voler privilegiare una corretta e puntuale recitazione poco curando, alle volte, l’intensità drammatica dell’azione; certi riferimenti impropri alla modernità o alla contemporaneità (si veda Atena in paludamenti rinascimentali e Oreste in completo scuro); l’uccisione di Clitennestra sulla scena (mai i Greci assistono a fatti di sangue che si svolgono sulla scena); gli inservienti dell’Areopago che raccolgono i voti del giudizio finale tra gli spettatori delle prime file, quando sulla scena ci sono i giurati nei loro scanni; e si potrebbe continuare, ma mi preme sottolineare che lo spettacolo, nel suo complesso, è di alto livello e rappresenta bene il felice momento creativo dell’arte di Eschilo, che ha voluto, con la sua trilogia, sottolineare il passaggio da uno stato fondato sulla barbarie a uno stato fondato sulle leggi e il diritto.



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